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giovedì 8 settembre 2016

GIOIA E LE ALTRE

Di Michelangelo Bartolo


«Non mi piace invecchiare, ma considerando l’alternativa…», dice Woody Allen in un’intervista. Oggi, in effetti, si vive di più e si vorrebbe vivere meglio; ma non sempre è così. Come nella storia di Gioia, nonna iperattiva che improvvisamente si trova a dover fare i conti con un corpo che non la segue più come desidererebbe.
Una famiglia presente, con figli a loro modo affettuosi ma che talvolta non comprendono le esigenze e i desideri di chi è anziano. E quando la debolezza del corpo si fa più evidente, la casa di riposo sembra essere l’unica soluzione, la più normale, la più fisiologica; soluzione a cui Gioia, in modo delicato e originale, si oppone.

Ne scaturisce una sorprendente alleanza tra generazioni da cui nascono nuove energie, nuove soluzioni, nuova voglia di vita. 
Da leggere!


Edizione del 2015
Città Nuova ed. (116pp.)

L’autore, Michelangelo Bartolo, è un medico angiologo, dirige il servizio di Telemedicina dell’Ospedale San Giovanni di Roma e, da alcuni anni, si cimenta anche nella stesura di romanzi con risultati molto apprezzati.
Questa è la sua terza opera di narrativa.

La protagonista del racconto è Gioia, una donna anziana piena di passioni e interessi, con l’entusiasmo di una bambina, vedova di un uomo amato, rimpianto e ammirato.
Il marito è stato un grande specialista dell’angiologia in Italia, professore universitario, primario ospedaliero, giunto alla soglia di godersi una tanto meritata pensione. Ma l’imponderabile era alla soglia: una malattia, insidiosa, lenta, diagnosticata quando era ancora in servizio, aveva scombussolato i suoi piani di  una felice e serena ritirata.
Al marito Mauro ben presto viene diagnosticato il morbo di Parkinson, condanna ad una vita sempre più limitata, da disabile, fino alla fine.
La moglie Gioia, anche lei alle prese con problemi di salute, combatte contro una fibrillazione atriale che la prova, ma non la ferma, non la vince.
Gioia trova nell’amore l’arma per continuare a combattere, inizia a scrivere un romanzo di successo sull’uomo della sua vita, occupandosi instancabilmente pure nell’impegno sociale e nella cura dei suoi nipotini.
La sua vita diviene oggettivamente più difficile, è più fragile, ma dopo un comprensibile iniziale smarrimento, reagisce e rifiuta la soluzione che può apparire più facile in certe situazioni quella del ricovero in una struttura sociosanitaria.
I suoi figli premono per un ricovero, adducendo difficoltà sempre maggiori nell’assistenza quotidiana. Lei capisce la difficoltà dei figli ma le sembra impossibile che l’unica soluzione esistente possa essere l’istituto. Non si rassegna alla naturalità del discorso dei figli che, in diversi modi, le dicono che non c’è posto per i vecchi in questa società.
Gioia ha ancora voglia di vivere: in lei sorge come un moto di ribellione assieme ad una voglia di lottare e, insieme all’amica Anna, lotta contro «la cultura dello scarto», quella di un mondo fatto solo per i sani, i forti, per coloro che hanno un futuro.

Allora, si documenta, si guarda intorno e studia libri che parlano di residenza a casa anche in caso di malattia, di convivenze organizzate, di consigli su come rimanere a casa propria da anziani.
Casualmente, sfogliando una rivista l’occhio cade su una lettera che le fa accendere una lampadina. Il titolo della lettera è:
Come non andare da anziani in istituto e rimanere a casa propria”.
Si tratta di una lunga lettera a firma di un’anziana di nome Maria che difende il suo diritto a rimanere a vivere i suoi ultimi giorni a casa propria, tra le sue cose, tra i suoi ricordi.

Inizia a leggerla: “Ho quasi settantacinque anni, vivo da sola a casa mia, la stessa in cui stavo con mio marito, quella che hanno lasciato i miei due figli quando si sono sposati.
Sono sempre stata fiera della mia autonomia, ma da un po' non è più come prima, soprattutto quando penso al mio futuro. Sono ancora autosufficiente, ma fino a quando?"

Poi prosegue: Sento spesso in giro chi dice: "L'abbiamo messo in un bell'istituto, per il suo bene". Magari sono sinceri, ma loro non ci vivono. Non è neppure un "male minore", ma necessario.
Quello che è peggio - ammesso che il mangiare non sia cattivo - è che non si può decidere quasi niente: quando alzarsi e quando restare a letto, quando accendere e quando spegnere la luce, quando e cosa mangiare. E poi, quando uno è più anziano (ed è più imbarazzato perché si sente meno bello di una volta), è costretto ad avere tutto in comune: malattia, debolezze fisiche, dolore, senza nessuna intimità e nessun pudore.
C'è che dice che in istituto "hai tutto senza pesare su nessuno". Ma non è vero. Non si ha tutto e non è l'unico modo per non dare fastidi ai propri cari.
Un'alternativa ci sarebbe: Poter stare a casa con un po' di assistenza e, quando si sta peggio o ci si ammala, poter essere aiutati a casa per quel tempo che serve".

La lettera si conclude con un appello: Per questo, anche se non più giovane, voglio ancora far sentire la mia voce e dire che in istituto non voglio andare e che non lo auguro a nessuno.
Aiutate me e tutti gli anziani a restare a casa e a morire fra le proprie cose. Forse vivrò di più, sicuramente vivrò meglio.

Gioia resta affascinata dalle parole della lettera di Maria e dalla lucidità con cui abbia espresso quelle che sono anche le sue ragioni di rimanere a casa propria

Condivide questa scoperta con la sua amica Anna, ed insieme iniziano a cercare in rete informazioni sull’autrice della lettera. Si imbattono così nel sito della Comunità di Sant’Egidio e trova la Lettera di Maria nell’homepage del sito. C’è un link che rimanda all’adesione della Lettera, Gioia clicca e scrive i suoi dati, per confermare.
Alcuni giorni dopo Gioia viene ricontattata da Rosanna, una volontaria della Comunità di Sant’Egidio a cui Gioia racconta come un fiume in piena tutta la sua vicenda e di come il suo futuro sia  l’istituzionalizzazione. La sua nuova amica le fa vedere il video dia YouTube in cui Andrea Camilleri commenta la lettera di Maria e chiede di poter fare qualcosa di concreto per sostenere i diritti degli anziani di vivere e morire a casa propria.
Gioia coinvolge appieno la sua amica Anna, le racconta tutto e nei giorni seguenti partecipano insieme a riunioni e seminari sulla condizione degli anziani.

Purtroppo nei giorni seguenti la sua amica Anna viene colpita e ferita da un male: un forte ictus vuole minare il loro nuovo impegno, ma Gioia non si abbatte e continua a documentarsi.                                                                                                                 

In uno dei suoi tanti momenti passati in libreria a cercare, informarsi, studiare, In particolare, si imbatte su di un titolo che la colpisce particolarmente:
La forza degli anni. Lezioni di vecchiaia per giovani e famiglie”.

Il testo è una miniera di informazioni per chi vuole restare a vivere a casa propria anche se anziano o malato. Gioia trova informazioni preziose, si spiega come si possa rimanere a vivere e casa propria anche con piccoli aiuti e accorgimenti.

Purtroppo, anche Anna viene colpita e ferita da un male: un forte ictus vuole minare il loro sogno, ma le vecchie amiche ormai vogliono tentare l’ultima carta, quella del co-housing, di una convivenza, idea suggerita ed enunciata con dovizia di particolari su come applicarla, nel volume ed insieme a Gioia mi mettono a studiare.

Nonostante i vari inconvenienti di salute delle protagoniste, la famiglia viene convinta e il finale è lieto: è la scena di una festa familiare in cui si accoglie Anna, in convalescenza in quella che diventa la sua nuova casa, insieme con Gioia.


Un libro molto agile, un romanzo che ha, tra gli altri, anche il merito di aprire nuove prospettive ed esperienze originali, narra il sogno di due donne avanti nell’età che hanno aperto la loro mente e il loro cuore, mai rassegnate al peggio, che scommettono ancora sul futuro.

Germano Baldazzi
         07 settembre 2016

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