Di Michelangelo Bartolo
«Non mi piace invecchiare, ma considerando
l’alternativa…», dice Woody Allen in un’intervista. Oggi, in effetti, si
vive di più e si vorrebbe vivere meglio; ma non sempre è così. Come nella
storia di Gioia, nonna iperattiva che improvvisamente si trova a dover fare i
conti con un corpo che non la segue più come desidererebbe.
Una famiglia presente, con figli a loro modo
affettuosi ma che talvolta non comprendono le esigenze e i desideri di chi è
anziano. E quando la debolezza del corpo si fa più evidente, la casa di riposo
sembra essere l’unica soluzione, la più normale, la più fisiologica; soluzione
a cui Gioia, in modo delicato e originale, si oppone.
Ne scaturisce una sorprendente alleanza tra
generazioni da cui nascono nuove energie, nuove soluzioni, nuova voglia di
vita.
Da leggere!
Edizione del 2015
Città Nuova ed. (116pp.)
L’autore, Michelangelo
Bartolo, è un medico angiologo, dirige il servizio di Telemedicina
dell’Ospedale San Giovanni di Roma e, da alcuni anni, si cimenta anche nella
stesura di romanzi con risultati molto apprezzati.
Questa è la sua terza
opera di narrativa.
La protagonista del
racconto è Gioia, una donna anziana piena di passioni e interessi, con
l’entusiasmo di una bambina, vedova di un uomo amato, rimpianto e ammirato.
Il marito è stato un grande
specialista dell’angiologia in Italia, professore universitario, primario
ospedaliero, giunto alla soglia di godersi una tanto meritata pensione. Ma l’imponderabile
era alla soglia: una malattia, insidiosa, lenta, diagnosticata quando era
ancora in servizio, aveva scombussolato i suoi piani di una felice e serena ritirata.
Al marito Mauro ben
presto viene diagnosticato il morbo di Parkinson, condanna ad una vita sempre
più limitata, da disabile, fino alla fine.
Gioia trova nell’amore
l’arma per continuare a combattere, inizia a scrivere un romanzo di successo
sull’uomo della sua vita, occupandosi instancabilmente pure nell’impegno
sociale e nella cura dei suoi nipotini.
La sua vita diviene
oggettivamente più difficile, è più fragile, ma dopo un comprensibile iniziale
smarrimento, reagisce e rifiuta la soluzione che può apparire più facile in
certe situazioni quella del ricovero in una struttura sociosanitaria.
I suoi figli premono per
un ricovero, adducendo difficoltà sempre maggiori nell’assistenza quotidiana.
Lei capisce la difficoltà dei figli ma le sembra impossibile che l’unica
soluzione esistente possa essere l’istituto. Non si rassegna alla naturalità
del discorso dei figli che, in diversi modi, le dicono che non c’è posto per i
vecchi in questa società.
Gioia ha ancora voglia di
vivere: in lei sorge come un moto di ribellione assieme ad una voglia di
lottare e, insieme all’amica Anna, lotta contro «la cultura dello scarto»,
quella di un mondo fatto solo per i sani, i forti, per coloro che hanno un
futuro.
Allora, si documenta, si
guarda intorno e studia libri che parlano di residenza a casa anche in caso di malattia,
di convivenze organizzate, di consigli su come rimanere a casa propria da
anziani.
Casualmente, sfogliando
una rivista l’occhio cade su una lettera che le fa accendere una lampadina. Il
titolo della lettera è:
“Come non andare da anziani in istituto e
rimanere a casa propria”.
Si tratta di una lunga
lettera a firma di un’anziana di nome Maria che difende il suo diritto a
rimanere a vivere i suoi ultimi giorni a casa propria, tra le sue cose, tra i
suoi ricordi.
Inizia
a leggerla: “Ho
quasi settantacinque anni, vivo da sola a casa mia, la stessa in cui stavo con
mio marito, quella che hanno lasciato i miei due figli quando si sono sposati.
Sono sempre stata fiera della mia autonomia,
ma da un po' non è più come prima, soprattutto quando penso al mio futuro. Sono
ancora autosufficiente, ma fino a quando?"
Poi
prosegue: “Sento spesso in giro
chi dice: "L'abbiamo messo in un bell'istituto, per il suo bene".
Magari sono sinceri, ma loro non ci vivono. Non è neppure un "male
minore", ma necessario.
Quello che è peggio - ammesso che il
mangiare non sia cattivo - è che non si può decidere quasi niente: quando
alzarsi e quando restare a letto, quando accendere e quando spegnere la luce, quando
e cosa mangiare. E poi, quando uno è più anziano (ed è più imbarazzato perché
si sente meno bello di una volta), è costretto ad avere tutto in comune:
malattia, debolezze fisiche, dolore, senza nessuna intimità e nessun pudore.
C'è che dice che in istituto "hai
tutto senza pesare su nessuno". Ma non è vero. Non si ha tutto e non è
l'unico modo per non dare fastidi ai propri cari.
Un'alternativa ci sarebbe: Poter stare a
casa con un po' di assistenza e, quando si sta peggio o ci si ammala, poter
essere aiutati a casa per quel tempo che serve".
La
lettera si conclude con un appello: “Per
questo, anche se non più giovane, voglio ancora far sentire la mia voce e dire
che in istituto non voglio andare e che non lo auguro a nessuno.
Aiutate me e tutti gli anziani a restare
a casa e a morire fra le proprie cose. Forse vivrò di più, sicuramente vivrò
meglio.”
Gioia
resta affascinata dalle parole della lettera di Maria e dalla lucidità con cui
abbia espresso quelle che sono anche le sue ragioni di rimanere a casa propria
Condivide questa scoperta
con la sua amica Anna, ed insieme iniziano a cercare in rete informazioni
sull’autrice della lettera. Si imbattono così nel sito della Comunità di
Sant’Egidio e trova la Lettera di Maria nell’homepage del sito. C’è un link che
rimanda all’adesione della Lettera, Gioia clicca e scrive i suoi dati, per
confermare.
Alcuni giorni dopo Gioia
viene ricontattata da Rosanna, una volontaria della Comunità di Sant’Egidio a
cui Gioia racconta come un fiume in piena tutta la sua vicenda e di come il suo
futuro sia l’istituzionalizzazione. La
sua nuova amica le fa vedere il video dia YouTube in cui Andrea Camilleri
commenta la lettera di Maria e chiede di poter fare qualcosa di concreto per sostenere
i diritti degli anziani di vivere e morire a casa propria.
Gioia coinvolge appieno
la sua amica Anna, le racconta tutto e nei giorni seguenti partecipano insieme
a riunioni e seminari sulla condizione degli anziani.
Purtroppo nei giorni
seguenti la sua amica Anna viene colpita e ferita da un male: un forte ictus
vuole minare il loro nuovo impegno, ma Gioia non si abbatte e continua a
documentarsi.
In uno dei suoi tanti momenti
passati in libreria a cercare, informarsi, studiare, In particolare, si imbatte
su di un titolo che la colpisce particolarmente:
“La forza degli anni. Lezioni di vecchiaia
per giovani e famiglie”.
Il testo è una miniera di
informazioni per chi vuole restare a vivere a casa propria anche se anziano o
malato. Gioia trova informazioni preziose, si spiega come si possa rimanere a
vivere e casa propria anche con piccoli aiuti e accorgimenti.
Purtroppo, anche Anna
viene colpita e ferita da un male: un forte ictus vuole minare il loro sogno,
ma le vecchie amiche ormai vogliono tentare l’ultima carta, quella del co-housing, di una convivenza, idea suggerita
ed enunciata con dovizia di particolari su come applicarla, nel volume ed
insieme a Gioia mi mettono a studiare.
Nonostante i vari
inconvenienti di salute delle protagoniste, la famiglia viene convinta e il
finale è lieto: è la scena di una festa familiare in cui si accoglie Anna, in
convalescenza in quella che diventa la sua nuova casa, insieme con Gioia.
Un libro molto agile, un
romanzo che ha, tra gli altri, anche il merito di aprire nuove prospettive ed
esperienze originali, narra il sogno di due donne avanti nell’età che hanno
aperto la loro mente e il loro cuore, mai rassegnate al peggio, che scommettono
ancora sul futuro.
Germano Baldazzi
07 settembre 2016
Nessun commento:
Posta un commento