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lunedì 3 ottobre 2016

LA PAURA DELL’ISLAM

La questione islamica, il conflitto tra generazioni, gli equivoci dello scontro di civiltà

Di Olivier Roy
Conversazioni con Nicolas Truong
Edizione del 2016
RCS (108pp.)


La visione dei fatti di Olivier Roy è singolare, affascinante perché in controtendenza rispetto alle interpretazioni epocali in questo momento prevalenti. Una voce che vale la pena di essere ascoltata. (Dalla prefazione di Stefano Montefiori)



«Non c’è nessuna comunità musulmana, ma c’è una popolazione musulmana. Accettare questa semplice constatazione sarebbe già un buon risultato contro l’isteria presente e futura».


Siamo dinanzi ad un testo snello e molto ben scritto che aiuta a comprendere le categorie per entrare in una realtà complessa, molto diversificata, molto più di quello che i media comunicano nelle semplificazioni quotidiane.
Sono gli interventi pubblicati da Olivier Roy su Le Monde dall’11 settembre 2001, al 24 novembre 2015.
L’autore, a detta di molti studiosi, è il più grande esperto e conoscitore vivente dei rapporti tra Islam e Occidente.

Egli contesta le due visioni prevalenti dell’Islam; una che vorrebbe l’Occidente in parte responsabile del terrorismo, e l’altra che l’Islam sarebbe fomentatore e fornitore della base della Jihad (la guerra santa).
La sua lettura non verte sulla periferia, lui crede che il problema non venga dalla vita che si svolge nelle banlieue di Parigi, per fare un esempio.
Lui pensa ai convertiti, cittadini benestanti non cresciuti tra le discriminazioni anti-islamiche, perché non si erano ancora convertiti all’epoca dei fatti. Non hanno, quindi, nemmeno subito atti discriminatori.

In effetti, la tesi dello studioso è che i prodromi dei futuri islamisti radicali vadano ricercati nel nichilismo che ha ispirato alcuni giovani; e il conflitto generazionale con i “vecchi” della famiglia. Stiamo assistendo - e non è un gioco di parole - non alla radicalizzazione dell’Islam, ma all’islamizzazione del radicalismo.

Il governo francese, nei suoi interventi armati in Medio Oriente e Africa non è responsabile della risposta terroristica nel suo paese, ma ha invece responsabilità nello spingere ad una laicità come religione di Stato, per contrastare l’avanzata dell’Islam. Ma, così facendo, viene meno al valore di Laicité della République.

Nei suoi diversi interventi, l’autore prima rileva come i genitori musulmani dei giovani radicalizzati francesi non comprendano la scelta dei loro figli, e cerchino di opporsi al loro passo di radicalizzazione: così, o li vanno a riprendere, o li denunciano alla polizia.
Il risultato che i giovani jihadisti ottengono è quello di aprire un contrasto generazionale nelle famiglie; famiglie che non hanno nemmeno un passato di pratica religiosa, anzi, sono ai margini delle comunità musulmane.
Roy ci spiega che in questi giovani avviene una sorta di “rinascita” e dichiarano il loro nuovo credo, con un nuovo “io”  e una voglia di rivincita, con un fascino per la morte.
Pochi di loro hanno frequentato le moschee: tra quelli che vanno in Siria nessuno si integra, né si interessa alla società civile; nessuno ha frequentato i Fratelli musulmani, nessuno ha militato in movimenti politici.
Si radicalizzano attorno ad un piccolo gruppo di compagni, ricreando una sorta di famiglia.

Roy nota come i terroristi non siano l’espressione di una radicalizzazione, ma più il riflesso di una rivolta generazionale.

In un altro intervento, osserva come i soldati musulmani di nazionalità francese siano leali nei confronti della Repubblica francese, partendo per andare a combattere dove viene loro chiesto, anche contro altri musulmani e sono molti i caduti in guerra.
Secondo lo studioso è in funzione un “laboratorio di integrazione”, nonostante le cronache spicciole permettano che il “jihadismo” vada in prima pagina e gli episodi di integrazione, invece, finiscano nella cronaca locale, o in trafiletti minori.

  Germano Baldazzi

     03 ottobre 2016

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