Le storie scomode dei fondatori delle squadre di calcio di Casale, Napoli e Roma
di Adam
Smulevich
Ed. Giuntina, 2017 pp.138
La questione razziale fu una
tragedia per l’Europa durante il regime nazista. Ma, in pochi sanno che, in
Italia, anche il calcio fu investito dall’onda antisemita, che prima estromise
gli ebrei dallo stato, poi, dalle posizioni di comando, infine dalle proprie
case e città.
In particolare, nel cosiddetto “Ventennio
fascista”, il gioco del calcio aveva già preso piede, vi era un campionato
nazionale regolare dalla fine dell’Ottocento, e alla vigilia dell’entrata in
vigore delle leggi razziali, tre presidenti di squadre di Calcio della Serie A,
avevano origini ebrei, o meglio, le loro famiglie avevano origini ebraiche.
In particolare, Raffaele Jaffe, Presidente
del mitico Casale, l’unica squadra che riuscì a soffiare uno scudetto al
predominio assoluto della Pro Vercelli, capace di vincere scudetti a
ripetizione, partendo con una squadra fondata con un gruppo di ragazzi, fino ad
arrivare a giocarsi lo scudetto e a conquistarlo.
Jaffe si era convertito al cristianesimo
in tempi “non sospetti” per via del matrimonio contratto con la cristiana
Luigia Cerutti, ma ciò non lo preservò, dopo alterne vicende, dalla
deportazione verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, in cui non
riuscì a sopravvivere.
Crebbe così tanto da giocarsi una epica
finale contro la Lazio, per lo scudetto del 1914. La ricostruzione dei fatti
compiuta dall’autore, grazie alla documentazione dell'epoca, è un vero
capolavoro!
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Giorgio Ascarelli (Foto de l'Avvenire) |
Segue poi la narrazione della storia del presidente fondatore
dell’Associazione Calcio Napoli, Giorgio Ascarelli, ebreo anch’egli, che aveva
uno fatto costruire uno stadio nuovo all’avanguardia per quegli anni. In quegli
anni, nel 1932 all’Italia venne assegnato l’onere e l’onore di ospitare i
Campionati Mondiali di Calcio, e lo stadio intitolato al mecenate ebreo
Ascarelli, non poteva passare inosservato ai nazifascisti.
Così venne imposto di cambiare nome allo stadio, nel 1934 la
partita tra Austria-Germania si sarebbe giocata nello stadio “Partenopeo”, nascondendo l’“infamia”,
della nazione ariana giocasse in uno stadio creato da un ebreo. E così fu.
Più degno di nota, forse, è
la vicenda che riguarda il padre fondatore della A. S. Roma, Renato Sacerdoti
che aveva creato per la squadra il famoso “Campo Testaccio” far allenare e
giocare le partite. Sacerdoti era un bravo uomo d’affari, facoltoso. Documenti
dell’epoca testimoniano il suo orgoglio nell’essere un fascista convinto della
prima ora e, nel tentativo di non incorrere nelle persecuzioni, abbandonò la religione ebraica nel 1937.
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Renato Sacerdoti (foto de l’Avvenire)
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Ma non servì a nulla, infatti, alla prima occasione, venne accusato di esportare illegalmente valuta. Serviva un capro espiatorio, un personaggio negativo da sacrificare agli occhi dell’opinione pubblica, e venne additato come traditore della patria, con l'accusa di nascondere soldi.
Inutili le difese e Sacerdoti, nonostante la lunga e convinta militanza, fu condannato al confino per 5 anni.
Un testo interessante, che apre uno spaccato su cui poco si è
fatta luce, ma dove la miopia di un regime che andava contro i propri
interessi, accanendosi anche contro i propri militanti non mancò di venire a
galla, fino ad uscire e fino a minare nelle fondamenta il regime fascista, già “commissariato”
dai nazisti tedeschi.
Arricchiscono il volume tutta una serie di fotografie d’epoca
dei protagonisti e delle squadre, come anche le lettere inviate a Mussolini dai
diversi presidenti spiegando, inutilmente le loro ragioni e la loro fedeltà al
fascismo.